PHANTASM
Deniz Eroglu, Turkish-Danish national, here offers an investigation into the artist-as-thinker, grounding his discourse in some observations of the 18th-century France. “Phantasm” serves as a space for contemplation which, through suggestion and blurred vision, charts a course for the visitor through a schema of non-universal knowledge, studded with holes, paradoxes, and aporia in a way designed to broaden the viewer’s experience. Unable to act as an adequate guide, the artist emerges in illusory ways, being caught perpetually between a willingness to engage and an open declaration of impotence and surrender.
“Phantasm” is an immersive environment; an attempt to bridge the divide between the artist and his public. Deniz Eroglu isn’t offering up the intellectual surround of an illuminist cafè nor a sublime landscape. Rather he calls forth the ritual introspection and intimate contemplation of an opium den, of a Chinese wellness centre, as well as of dark dungeons and Turkish mosques. His is a space suggestive of shamanism, where questions and answers are left suspended. In this reality, the installation Daydream Machine (2017) permits the visitor to reserve judgment, releasing them from all forms of dense interpretive grind. Dungeon beds, suspended from metal chains, invite the public to sit and explore a series of luminous video sequences – alternating between images that adhere to lighter motifs as well as more somber ones – projected into space, literally into smoke. Daydream Machine leads the public into a meditative and oneiric reverie, extending its reflections to the political sphere. The installation proffers a place in which abstract thoughts may reverberate, one distinct from the base materiality of everyday discourse. At this point the horror suffered by Damiens at his execution, the exiles of Rousseau, as well as contemporary political persecutions and censorship, are brought firmly back into view. The role of the artist is defined as avowedly political, through the opacity of smoke.
In the domestic salon of La Journée Sera Dure (2017) we are returned to the power relationships of Foucault, in which the fire poker shaped like a bear’s paw becomes a practical totem. Pierrot and Rousseau’s sculptures – The Entertainer (2017) and I Saw the Light (2017) – operate as guiding spirits marking the viewer’s way, antitheses that body forth the different consciences of this “Phantasm”. The two polyurethane sculptures are the primary personifications of Eroglu’s doubts as well as his reflections on the red draperies separating the intimate environment of Daydream Machine from its external universe. The artist manifests here as an apparition, revealing himself only in the cracks in his certainty.
References to eighteenth-century France are, in the end, rendered abstract from their time. “Phantasm” offers few answers, concrete positions or intrinsic morals. Instead it manifests and multiplies the questions dealt with by politically engaged artists today, dressing up our current problems in period costume and in the process revealing our collective agitation.
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Deniz Eroglu, di nazionalità turca e danese, propone un’indagine sulla figura dell’artista come pensatore, individuando l’incipit del suo percorso in alcune osservazioni della Francia del Diciottesimo secolo. “Phantasm” è un’installazione immersiva che, attraverso suggestioni evanescenti e opache visioni, accompagna il pubblico in un cammino di conoscenza non-universale costellato da buchi, aporie e paradossi che si colmano e si dilatano a seconda dell’esperienza dello spettatore. Incapace di sopperire al ruolo di vate, l’artista emerge attraverso modalità illusorie, eternamente sospeso tra la pretesa di un engagement e la dichiarazione di una definitiva impotenza e capitolazione.
“Phantasm” è un ambiente evocativo, un tentativo di decostruzione dell’incolmabile spazio tra le astratte idiosincrasie dell’artista e il discorso pubblico. Deniz Eroglu non propone il fermento intellettuale di un caffè illuminista né il sublime di una veduta paesaggistica, quanto invece il rituale e l’introspezione di una dimensione intima e contemplativa, che volge lo sguardo ai saloni dell’oppio come ai centri benessere cinesi, e alle caliginose segrete come alle moschee. Un profondo spazio a conduzione sciamanica, dove interrogativi e risposte si astraggono, invece che definirsi.
Una realtà dove l’installazione Daydream Machine (2017) costituisce strumenti di attivazione del pensiero a uso del pubblico, il quale liberamente stabilisce di procrastinare il giudizio, liberandosi di una fitta griglia interpretativa. Brande da cella, sospese da grosse catene, invitano il visitatore ad adagiarsi per esplorare esili apparizioni di sequenze video: da un podio rosa, ornato da motivi floreali, emergono banchi di fumo nei quali si intervallano proiezioni che rimandano prima a immaginari lievi e poi foschi. Daydream Machine conduce il pubblico in sessioni meditative e oniriche, estendendo il dominio riflessivo alla sfera politica. L’installazione si propone quindi come luogo di rielaborazione del pensiero astratto, in contrapposizione alla materialità di un discorso quotidiano che si fa sempre più immediatamente fisico e corporeo. Ora ritornano alla mente gli orrori del supplizio di Damiens, gli esili di Rousseau, come le persecuzioni politiche contemporanee e la censura del disincanto. Il ruolo dell’artista si definisce come politico, attraverso l’opacità di fumi invisibili. Le suggestioni sfociano nelle odierne dinamiche del potere, le stesse già annunciate da Foucault, in un salone domestico, dove anche un attizzatoio a forma di zampa d’orso, La Journée Sera Dure (2017), diviene utile accessorio atmosferico. Collocate ad annunciare il percorso, la scultura di Pierrot The Entertainer (2017), e di Rousseau I Saw the Light (2017), agiscono come dèmoni guida e modelli antitetici per le differenti coscienze presenti nelle pieghe di “Phantasm”. Le due sculture in poliuretano divengono le prime incarnazioni dei dubbi e delle riflessioni progettate da Eroglu aldilà della grande drappeggio rosso che separa il riservato ambiente di Daydream Machine dall’universo esterno.
L’artista si rivela allora come apparizione, nella sua consistenza elusiva, manifestandosi negli interstizi delle sue certezze. Infine, i riferimenti alla Francia settecentesca si astraggono dal loro tempo. “Phantasm” non può fornire risposte, suggerendo posizioni o esplicitando morali intrinseche; può solo moltiplicare le domande che artisti impegnati sono chiamati ad affrontare, poiché è travestendo i conflitti dell’oggi con costumi d’epoca che è possibile rivelare e rendere più comprensibili le agitazioni collettive.